Rapporto del World Economic Forum

L’ICT tracolla, il Parlamento agisca subito. Anche senza un Governo

Confermata la perdita di posizioni nella classifica mondiale per l’ICT. Significativo l’indicatore che misura l’impatto dell’Ict sull’innovazione organizzativa: siamo al 101esimo posto. Ma per la prima volta abbiamo parlamentari che possono cambiare le cose. Non si attenda, per farlo, il nuovo governo

Pubblicato il 12 Apr 2013

Giuseppe Iacono, Stati Generali dell'Innovazione

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Nelle ultime tre edizioni del Global Information Technology Report del World Economic Forum, rispetto all’indice di “networked readiness” che misura la propensione a sfruttare le opportunità offerte dall’ICT, dal punto vista non solo economico ma anche sociale, l’Italia è rimasta in altalena tra il 51°, il 48° e adesso il 50° posto, consolidando di fatto la sua regressione degli ultimi anni (ha perso 12 posizioni in 7 anni).

I fattori che più contribuiscono a questo risultato sono purtroppo noti: mancanza di strategia a livello di Governo, sistema normativo e politico sostanzialmente negativo, bassa qualità del sistema educativo, insufficiente formazione del personale aziendale, limitatezza del rapporto tra università e industria, popolazione di fatto non coinvolta nella “rivoluzione digitale”. La copertura con banda larga non è sempre adeguata, ma preoccupa ancor di più il fatto che la percentuale di cittadini che utilizzano Internet rimanga tra le più basse d’Europa (adesso siamo al 56%).

Per comprendere quanto l’Italia sia poco pronta alla trasformazione in atto, quella che Jeremy Rifkin indica come la “Terza rivoluzione industriale”, è molto significativo l’indicatore che misura l’impatto dell’Ict sull’innovazione organizzativa: qui l’Italia è al 101° posto, in abissale distanza da tutti i maggiori Paesi e in continua regressione (era al 90° nel 2011). Un Paese che ha tra i più alti tassi (39%) di occupazione su lavori ad alta intensità di conoscenza, ma non ha una legislazione del lavoro che la favorisce. Anzi.

Così, di fatto l’arretratezza italiana si consolida proprio sulle principali leve di innovazione.

Ineludibile allora un cambiamento in discontinuità, un cambio di modello che deve partire dalla definizione di una strategia organica per l’intero sistema-paese (e non solo centrata sulla PA e sull’interoperabilità e sull’integrazione delle applicazioni) e poi declinarsi in iniziative che partano dal territorio e ne valorizzino le esperienze e le ricchezze. Un cambiamento che spinga insieme l’innovazione dell’infrastruttura ICT (applicazioni, data base, rete) e quella della cultura digitale (individui, imprese, governo). Un cambiamento complesso per cui sono necessarie competenza e coraggio. Coraggio anche per superare gli ostacoli maggiori al cambiamento: la burocrazia, la corruzione, il familismo (inteso come elemento chiave che fa prevalere la relazione al merito).

Oggi il Parlamento è in una situazione critica di stallo, ma per la prima volta sono presenti deputati e senatori (non tanti, ma non pochi e in più di valore) che possono farsi carico di avviare e spingere iniziative legislative importanti sui punti più strategici di convergenza, come quelli indicati dalla “Carta d’intenti per l’Innovazione” promossa dall’Associazione Stati Generali dell’Innovazione e sottoscritta da parlamentari di tutti gli schieramenti. E la società civile può far molto per sostenere e favorire questo percorso.

Non abbiamo tempo per attendere la formazione dell’auspicato e necessario nuovo governo.

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